L’ironia contro i mugnai è visibile ad esempio in una novella cinquecentesca opera di Giovanni Brevio (1480 c. – 1550 c.), un ecclesiastico che per un periodo, attorno al 1510, era stato anche pievano di Sernaglia, sebbene probabilmente senza risiedervi, dato che deteneva contemporaneamente molti altri benefici, anche per il fatto di essere il nipote del vescovo di Ceneda Francesco Brevio.
Questa novella ha una struttura particolare: il racconto principale contiene un secondo racconto che a sua volta ne contiene un terzo. Il protagonista, nonché primo bersaglio dell’ironia dell’autore, è un certo frate Niccolò che, predicando in un paese di mugnai, ritiene maldestramente di risultare gradito al suo uditorio raccontando una storia (il “secondo racconto”) che ironizza proprio su quella categoria. Si tratta della vicenda dei mugnai che, consigliati dal collega Malgragno, decidono, per motivi del tutto materiali, di promuovere la santificazione dell’altro collega Berto, prima ancora della sua morte, iniziando (“si vociferava”) con l’eutanasia perché possano subito cominciare ad arrivare le grazie per sua intercessione. Essendo però incerti su dove seppellire il corpo del “santo”, ricorrono al loro parroco, che propone loro l’esempio della storia del corpo di San Tiziano, posto su un carro tirato da una mucca e da un vitello che, lasciati liberi di andare dove vogliono, lo portano a Ceneda, dove verrà trasferita anche la sede vescovile. La narrazione del parroco è il “terzo racconto” contenuto nella novella.
Le vicende narrate si concludono con una punizione per tutti: i colleghi di Berto decidono di seguire il consiglio del parroco, ma in questo caso il corpo “santo” viene portato sotto una forca. Al sentire la fine della storia, però, gli altri mugnai, quelli del paese dove frate Niccolò sta predicando, offesi mortalmente, iniziano a linciarlo, anche se alla fine il religioso riuscirà a salvarsi grazie (paradossalmente, ma non troppo, vista la poca simpatia dell’autore per i frati) al voto di uscire dall’ordine.
Un altro esempio del ruolo per certi aspetti ambivalente che potevano avere i mugnai all’interno di una comunità è dato dalle vicende di un personaggio vissuto in un’area parecchio vicina – geograficamente e culturalmente – ai nostri paesi, cioè il Friuli Occidentale. Si tratta del mugnaio di Montereale Valcellina Domenico Scandella, detto Menocchio, che è stato studiato dagli storici Carlo Ginzburg e Andrea Del Col. Le tante notizie che sono sopravvissute riguardo alla sua vita ed alle sue idee sono soprattutto dovute al fatto che egli fu per ben due volte processato come eretico dall’inquisizione delle diocesi di Aquileia e Concordia. Dagli interrogatori emerge la figura di un uomo al tempo stesso immerso nella vita del paese e distaccato, che doveva avere trascorso veramente molto tempo solo coi pensieri che riempivano il suo “cervel sutil”, volendo “cercare cose alte, et che non sapeva”.
Così, con l’aiuto dei pochi libri che aveva letto, e di qualche occasionale colloquio con improbabili “maestri” che aveva incontrato, Menocchio era arrivato a sviluppare proprie teorie sul mondo, sulle sue origini e persino su Dio e sui dogmi del Cristianesimo. Tuttavia, quando risultò che su queste idee egli non teneva la bocca chiusa, esse diventarono per lui pericolose, forse anche a causa di delazioni dei compaesani, raccolte e indirizzate da membri del clero.
Dopo il primo processo fu liberato, ma il secondo si concluse con la sua esecuzione capitale (1599).
Martino Mazzon